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02.08.2019

Il “brainstorming” (letteralmente “tempesta di cervelli”) fu inventato alla fine degli anni Trenta da Alex Osborn come processo per favorire la creatività mediante una libera associazione di idee prodotte dai membri di un gruppo per arrivare alla risoluzione di un problema.
Questo metodo, inizialmente utilizzato per risolvere problemi di carattere aziendale, “ha poi trovato larga applicazione anche in numerosi altri ambiti, divenendo uno strumento in grado di sviluppare la comunicazione e l’interazione tra gli individui, di scoprire il gruppo come risorsa in cui aumentare le proprie conoscenze rispetto ad un argomento, di stimolare l’immaginazione e la produzione creativa”. Inoltre ha trovato “larga applicazione in ambiente didattico, dove può essere utilizzato per mantenere vivo l’interesse dei discenti verso un particolare argomento, favorendo il processo di conoscenza e comprensione, permettendo anche all’insegnante di osservare e valutare le competenze degli scolari, identificando eventuali lacune su cui intervenire”.
E se il brainstorming nasce come tecnica di problem solving, la sua applicazione in ambito formativo “deriva dal fatto che taluni percorsi formativi possono essere efficacemente impostati come problemi da risolvere, più che come insieme di informazioni da trasmettere; esso può essere efficacemente applicato in contesti formativi che prevedono la risoluzione di un problema mediante la partecipazione attiva di un gruppo: i soggetti partecipanti alla sessione formativa non si limitano all’assorbimento passivo di informazioni ma imparano mediante la condivisione e lo scambio di idee da loro prodotte”.
 A presentare in questi termini l’utilizzo della tecnica del brainstorming, anche in relazione al mondo della formazione, è una tesi realizzata nell’anno accademico 2016/2017 da Giulia Marcandelli per il Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale.
 
I principi base del brainstorming
La tesi che riporta molti dettagli sulla tecnica del brainstorming, con riferimento anche allo strumento “Scala delle Priorità Obbligate” (SPO), si sofferma su alcuni principi che secondo Osborn stavano alla base di questo metodo che, a suo parere, permetteva di sviluppare l’immaginazione, intesa da Osborn come “spina dorsale delle imprese umane”:
“il primo principio è l’esclusione di ogni atteggiamento critico verso le idee inizialmente espresse dai membri di un gruppo, in quanto la fase di giudizio viene posticipata ad un secondo tempo.
il secondo principio riguarda l’incremento dell’immaginazione attraverso la definizione d’idee insolite e differenziate.
il terzo principio è legato alla quantità di idee prodotte: maggiore è la quantità di idee, più alta la probabilità che fra esse ve ne sia almeno una buona.
il quarto principio è legato alla possibilità che i membri del gruppo suggeriscano dei miglioramenti alle idee espresse da altri, in modo così da favorire anche la fusione di idee differenti”.
 
Le caratteristiche generali del brainstorming
La tesi indica che, affinché il brainstorming sia veramente efficace, “diviene di fondamentale importanza definire alcuni aspetti specifici, da tenere in considerazione durante tutto il processo formativo, e che si basano sull’idea che il brainstorming possa essere applicato in situazioni in cui la formazione viene realizzata attraverso la ricerca di una soluzione ad un problema”:
il primo di questi aspetti è “legato alle caratteristiche del gruppo di lavoro; quest’ultimo deve, innanzitutto, essere orientato al compito da svolgere e, quindi, al superamento del problema per cui il gruppo stesso è stato istituito”;
in secondo luogo, “il gruppo deve essere strutturato: le mansioni dei singoli membri devono essere precedentemente definite e comunicate;
infine, il gruppo deve presentare la caratteristica di omogeneità, dal momento che deve riunire soggetti che condividono il raggiungimento dello stesso comune obiettivo”.
Si indica poi che è preferibile che il gruppo “sia costituito da un numero contenuto di partecipanti (8-10), in modo da rendere possibile la partecipazione e il giusto coinvolgimento di tutti ed evitare fenomeni di isolamento o di prevaricazione”.
 Inoltre è importante è il ruolo del coordinatore, del docente/tutor, che ha il “dovere di garantire l’equilibrio del gruppo creando un ambiente favorevole e di partecipazione, di favorire la corretta esecuzione delle attività, definendone gli scopi e i criteri di svolgimento, di gestire il processo registrando tutte le idee proposte e di mantenere lo sviluppo del brainstorming coerente con gli obiettivi prefissati, evitando di imporsi come leader assoluto”.
 Un altro aspetto importante a cui prestare attenzione per la buona riuscita di una sessione di brainstorming è la “definizione delle finalità e dei contenuti del lavoro”. “Durante la seduta di brainstorming, dopo aver identificato gli scopi generali, si chiariscono gli obiettivi specifici che si intende raggiungere”. Questi obiettivi, che possono essere concreti oppure astratti “devono essere condivisi con tutti i partecipanti; essi possono essere scelti dal coordinatore oppure proposti dai membri del gruppo sulla base della tipologia di problema che si intende risolvere con il brainstorming. I compiti possono poi essere strutturati o non strutturati; questi ultimi risultano spesso essere più efficaci in un progetto di brainstorming, in quanto, non imponendo di seguire un percorso rigido e delineato, favoriscono il libero e spontaneo sviluppo di idee ed emozioni, dando origine alla cosiddetta ‘tempesta di cervelli’ che rappresenta il concetto chiave del brainstorming stesso”.
 Si segnala poi che “anche l’ambiente e gli strumenti di lavoro sono fondamentali per la buona riuscita di un lavoro di gruppo”.
 
Le tre fasi delle sessioni
La tesi indica poi che il modello proposto da Osborn, seguito poi da numerosi altri autori, “suggerisce di suddividere ogni sessione di brainstorming in tre fasi:
Fase di presentazione e di definizione del problema: in questa fase, che prevede un primo momento di presentazione nel caso in cui i componenti del gruppo fossero tra loro sconosciuti, si basa sulla chiara definizione degli obiettivi, delle regole, delle modalità di svolgimento del brainstorming e delle fasi in cui esso è suddiviso. Il relatore ha il compito di spiegare il problema e introdurre il tema attorno al quale devono poi orbitare le idee proposte, chiarendo eventuali dubbi o incomprensioni emerse. In caso di gruppi molto numerosi può divenire utile la suddivisione in sottogruppi e per ciascuno di questi scegliere un coordinatore.
Fase di svolgimento centrale della sessione: ai membri del gruppo è chiesto di esprimere opinioni e possibili soluzioni rispetto al problema proposto. Viene in questa fase data molta enfasi all’aspetto creativo di ogni singolo soggetto che deve essere incoraggiato nella creazione di idee originali e ricercate. Le idee possono essere espresse secondo differenti modalità: la libera espressione senza regole specifiche o particolari restrizioni oppure, al contrario, l’espressione del proprio punto di vista secondo norme precedentemente definite (per esempio seguendo il senso orario/antiorario)”. La tesi ricorda che il conduttore “gioca un ruolo fondamentale proponendo suggerimenti e supportando i soggetti attraverso stimoli come la formulazione di domande o la creazione di difficoltà studiate appositamente per incrementare la creatività (metafore, analogie)”. Le idee vengono poi “registrate secondo varie modalità” e “raggruppate in categorie”.
Fase di valutazione e classificazione delle idee: “le idee, dopo essere state condivise e discusse tra i membri del gruppo, sono raggruppate sulla base dei significati comuni che le legano. Quindi, esse vengono analizzate criticamente, per identificare le più efficaci per la risoluzione del problema che si intende risolvere con la seduta di brainstorming. Anche in questo caso il coordinatore gioca un ruolo fondamentale in quanto, grazie alla sua esperienza, deve guidare il gruppo verso la selezione delle soluzioni migliori”.
 
La tesi sottolinea, in conclusione del capitolo dedicato al brainstorming, che tecniche come questa, seppur non considerabili “autentici” strumenti di formazione esperienziale, comunque rappresentano un supporto per questa tipologia di formazione e “vanno quindi inclusi nella definizione del panorama di metodi che vedono l’esperienza come mezzo fondamentale di formazione”.
 Rimandiamo, infine, alla lettura integrale della tesi che riporta indicazioni su molte altre tecniche/metodi di formazione e che presenta una ricca bibliografia relativa alle fonti utilizzate.
  
RTM

Articolo tratto da puntosicuro.it