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03.02.2018

Non sono purtroppo inusuali le situazioni in cui ai lavoratori vengono richieste attività estranee a quanto previsto nel contratto e che, anche in relazione alla probabile mancanza di idonea formazione, nascondono al loro interno rischi inattesi o, comunque, pericoli per la loro incolumità.

 

Per approfondire il tema delle responsabilità in caso di infortunio correlato all’assegnazioni di mansioni estranee al contratto, ci soffermiamo su una recente sentenza della Corte di Cassazione, la sentenza n. 45864 del 5 ottobre 2017, che tratta il ricorso relativo al giudizio su un infortunio durante attività di verifica della tenuta di un serbatoio con aria compressa.

 

Nella sentenza n. 45864 si indica che la Corte di Appello di Firenze ha confermato la “pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Firenze - Sez. Distaccata di Pontassieve nei confronti di B.A. in relazione al reato previsto dall'art. 590, commi 1 e 3, cod. pen. per avere cagionato, in qualità di datore di lavoro, lesioni personali a F.B. con violazione di norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro”.

E il datore di lavoro B.A. ricorre per cassazione censurando “la sentenza impugnata per violazione dell'art.606, comma 1, lett.c) cod. proc. pen. in relazione agli artt.649 e 669 cod. proc. pen. per essere intervenuta sentenza assolutoria definitiva del Tribunale di Firenze con la quale il ricorrente è stato assolto dall'imputazione per due contravvenzioni costituenti il precetto in cui si è sostanziata l'ipotesi di colpa specifica ascritta al B.A. nel presente procedimento. Con un secondo motivo deduce violazione dell'art.606, comma 1, lett.c) ed e) cod. proc. pen. per avere i giudici di merito tralasciato di considerare o travisato l'elemento dirimente per cui B.A. non era presente quando al lavoratore era stato chiesto di eseguire un'attività esorbitante dalle sue mansioni e dalla sua formazione”.

 

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Questo il fatto come ricostruito nei gradi di merito.

 

La Cooperativa XXX a r.L, di cui B.A. era Presidente, aveva stipulato un contratto con la XXX s.r.l. in virtù del quale “la prima società inviava alla seconda alcuni dei suoi dipendenti affinché eseguissero attività di movimentazione merci, imballaggio e lavaggio dei pezzi meccanici; tali attività si dovevano svolgere sempre sotto la direzione di un responsabile della Cooperativa; F.B., dipendente della Cooperativa L.F., era stato invece adibito a mansioni estranee al contratto e pericolose, in relazione alle quali non aveva ricevuto alcuna informazione né formazione; nell'eseguire, dunque, la prova di tenuta di un serbatoio di alluminio con aria compressa, aveva riportato lesioni personali a causa dello scoppio del serbatoio”. 

 

Secondo la corte di Cassazione il primo motivo di ricorso è infondato.

 

Infatti la pronuncia assolutoria emessa dal Tribunale di Firenze, “la cui autorità di cosa giudicata si invoca in questa sede onde dedurre la violazione del divieto di bis in idem” (il principio giuridico che non consente, una volta che una causa sia stata definitivamente risolta con sentenza inappellabile, di rinnovarla contro la stessa persona e per lo stesso oggetto, ndr) concerne la “contestata violazione degli artt.18, comma 1, e 55, comma 5, d. lgs. 9 aprile 2008, n.81 nonché degli artt.37, comma 1, e 55, comma 5, d. lgs. n.81/2008 per avere adibito il lavoratore, assunto con la qualifica di facchino, ad operazioni di montaggio e collaudo in pressione delle tenute senza fornire al lavoratore adeguata formazione”. Tuttavia la sentenza impugnata è “pervenuta all'affermazione di responsabilità penale di B.A. in relazione al reato di lesioni colpose per aver egli omesso di svolgere il doveroso controllo in ordine alle mansioni che il lavoratore avrebbe svolto” presso la XXX s.r.l. ed alla loro corrispondenza alla formazione specifica del lavoratore. E – continua la Cassazione – “secondo l’oramai consolidato insegnamento della Corte di Cassazione, ai fini della configurabilità della preclusione connessa al divieto di un secondo giudizio, è necessaria la corrispondenza tra il fatto storico - considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona - sul quale si è formato il giudicato e quello per cui si procede (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv.23179901; Sez. 1, n. 39746 del 15/03/2016, Bovio, Rv. 26814701)”. In particolare la sentenza impugnata “ha escluso che nel caso di specie sussista violazione del divieto di un secondo giudizio sulla base del rilievo che la pronuncia assolutoria si sia fondata su dati probatori incompleti e comunque diversi da quelli acquisiti nel presente processo. Va, in aggiunta, ricordato che i reati giudicati nei due distinti processi non sono in fatto sovrapponibili perché non vi è coincidenza dell’intera materialità del reato nei suoi tre elementi, costituiti da condotta, evento e nesso causale”. E deve dunque escludersi “che il fatto contestato al ricorrente corrisponda nella sua sostanza essenziale al fatto già valutato nella sentenza assolutoria per la contravvenzione di norme antinfortunistiche, posto che la stessa nozione di fatto, pur colta nella sua dimensione per l'appunto ‘fattuale’, ha, ai fini dell'imputazione, inevitabilmente anche carattere normativo, in quanto presuppone la selezione e qualificazione da parte del legislatore del bene oggetto di tutela”.

 

Veniamo, infine, al secondo motivo di ricorso che è dichiarato inammissibile.

 

Infatti contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, “i giudici di merito hanno indicato, con motivazione esente da vizi, da quali elementi istruttori sia emerso che il lavoratore infortunato fosse stato adibito anche prima del giorno dell'infortunio all'attività di verifica della tenuta di un serbatoio con aria compressa, nonché quali siano state le prove a sostegno dell'accertata presenza del B.A. nei pressi del lavoratore allorché poneva in essere tale pericolosa attività”.

E si indica, come spesso accade nelle sentenze della Cassazione, che esula dai poteri della Corte di Cassazione “quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945)”.

E in sede di legittimità, non sono dunque consentite “le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.244181). Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio ed una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi con la dovuta specificità con l'iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito per affermare la sua responsabilità penale”.

 

E, in conclusione, la Corte di Cassazione “rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali”.

 

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:

Cassazione Penale, Sez. IV - Sentenza 05 ottobre 2017, n. 45864 - Infortunio durante l'attività di verifica della tenuta di un serbatoio con aria compressa: mansioni estranee al contratto e pericolose



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Articolo tratto da puntosicuro.it