News

20.03.2019

Torniamo a parlare di malattie professionali con riferimento agli atti del Seminario di aggiornamento dei medici legali Inca Cgil (Roma, 14-15 dicembre 2017). Riportiamo, in particolare, uno stralcio dell’intervento (con alcune nostre evidenziazioni) dal titolo “Le malattie professionali in base ai settori produttivi: i trasporti”, a cura di Francesca Cosentino ( A.O. Università Pisana - Medicina preventiva del lavoro)


 

Le malattie professionali in base ai settori produttivi: i trasporti

Il settore trasporti è sempre stato di fondamentale importanza fin dagli albori della civiltà per i suoi risvolti militari, economici, sociali e culturali.

Secondo l’Istat questo settore nel 2014 occupava circa 1,1 milioni di persone, di cui poco più della metà erano impiegati nei trasporti ferroviari e su gomma, un terzo in attività di magazzinaggio e supporto e un decimo in attività di spedizione.

Anche nel 2016 prosegue la lenta ripresa del settore con 2 miliardi di ore lavorate, anche se ancora siamo lontani dai valori del periodo che ha preceduto la crisi finanziaria anche nel nostro Paese. Il decennio trascorso è stato infatti molto critico e il trasporto merci ha subito una flessione marcata.

 

Quando si parla di malattie professionali è impossibile non fare prima un piccolo accenno alla sorveglianza sanitaria così come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera m del decreto legislativo 81, cioè l’insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e della sicurezza dei lavoratori in relazione all’ambiente, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Peraltro la Ss ai sensi dell’art. 41 comma 1 lett. a è eseguita nei casi previsti dalla normativa vigente… vale a dire nei casi in cui vi siano rischi per la salute e la sicurezza emersi con la valutazione dei rischi.

 

«Una delle questioni più dibattute, emersa in conseguenza alle recenti intese tra Stato, Regioni e Provincie autonome, ai sensi dell’art. 8 comma 6 della legge 5 giugno 2003 n. 131 in materia di accertamento di assenza di tossicodipendenza del 30.10.07 e quella ai sensi della legge 125/2001 del 16.3.2006, è l’obbligatorietà di sottoporre il lavoratore a controlli su matrici biologiche per evidenziare una eventuale assunzione di alcolici e sostanze stupefacenti (alla luce del comma 4 dell’art. 41 del D.lgs. 81/2008).

L’obbligatorietà di tali accertamenti estende di fatto a tutti gli autotrasportatori dipendenti la sorveglianza sanitaria, indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio quali le vibrazioni, il rumore, la movimentazione manuale dei carichi o il trasporto di merci pericolose» (Linee guida per la valutazione del rischio e la sorveglianza sanitaria nel settore dei trasporti terrestri – Società italiana di medicina del lavoro ed igiene industriale 2013).

 

rischi presenti nel settore sono: vibrazioni principalmente al corpo intero, rumore, esposizione a inquinanti chimici, lavoro a turni e notturno, movimentazione carichi e anche merce pericolosa, rischio biologico in particolare per gli autisti che trasportano animali e/o materiale biologico, rischi da alte e basse temperature, stress. E infine la sorveglianza sanitaria ai sensi della L.125 e della legge 131.

Quindi pur sapendo bene che la sorveglianza sanitaria è guidata dalla normativa vigente, dai rischi presenti nell’attività lavorativa sappiamo anche che per lo svolgimento della stessa occorre tener presente le patologie più frequenti nel settore e che possono avere una ricaduta importante sul l’attività lavorativa e sulla performance di guida.

 

Individuare delle patologie specifiche del settore è quasi impossibile. Infatti, quasi la totalità degli studi scientifici presenti in letteratura individuano come patologie più frequenti del settore, quelle più frequenti nella popolazione in generale: quindi le patologie cardiovascolari, le muscolo-scheletriche, le patologie del sonno, dell’apparato gastrointestinale, dell’apparato urogenitale e infine le neoplasie. Per quanto riguarda le patologie cardiovascolari, c’è un’aumentata occorrenza di patologie quali infarti del miocardio, coronaropatie associate o meno a ipertensione arteriosa o a patologie cerebrovascolari. I fattori di rischio, sia lavorativi che extralavorativi sicuramente interagiscono. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, diversi studi hanno appunto evidenziato un aumento di rischio di questo tipo di patologie nel settore dei trasporti.

 

Rosengren e altri autori valutarono l’incidenza della malattia coronarica in una coorte di 103 autisti di autobus e tranvieri. Nello studio il gruppo di controllo era costituito da 6.596 persone; hanno effettuato un follow-up di undici anni e hanno trovato che il 18,4% dei conducenti di autobus e tram era affetto da patologie coronariche contro il 6,4% dei controlli.

I tassisti presentavano un rischio grezzo di patologie coronariche uguale a quello degli autisti professionali. Tenendo conto di alcuni fattori di rischio legati a patologia coronarica (dismetabolismi, familiarità, abitudine al fumo, Bmi, ecc.) l’analisi di regressione logistica confermava un elevato rischio di patologie coronariche negli autisti di bus e tram ma non nei conducenti di taxi.

 

Un altro studio interessante è quello di Tüchsen F. del 1992 nel quale vengono analizzate le cause di ricoveri e decessi ospedalieri per cardiopatia ischemica tra i soggetti con età tra 20 e 59 anni; i conducenti di autobus urbani ed extraurbani maschi mostravano un elevato rapporto standardizzato di ospedalizzazione per cardiopatia ischemica rispetto alla popolazione generale.

Uno studio svolto in Svezia con una coorte di quasi 10.000 autisti maschi e pubblicato nel 1993 sull’incidenza di infarto del miocardio mostra un eccesso del 50% per mortalità di infarto miocardico rispetto a un gruppo di controllo i cui membri appartenevano ad altri settori lavorativi. In quindici anni di osservazione, gli autisti di autobus urbani avevano infatti un rischio relativo di 1,6 per infarto miocardico. Tra i fattori di rischio occupazionale, gli Autori suggerivano il possibile ruolo dello stress lavorativo, la tipologia dei turni, il lavoro sedentario, i fumi di scarico ai quali sono esposti e il rumore.

Risultati simili vengono confermati nel 1996: aumentata incidenza di infarto miocardico acuto nei conducenti di autobus urbani, tassisti di aree urbane e rurali, camionisti di lungo raggio. In questo studio gli Autori suggerivano il possibile contributo dello stress e in particolare l’elevato job demand e lo scarso, invece, job control.

Bigert nel 2003 esamina 1.067 maschi con un’età tra i 45 e i 70 anni, contro 1.482 controlli, trovando Or grezzi per Ima di 2,1 nei conducenti di autobus, 1,9 nei tassisti e 1,7 nei camionisti. Aggiustando per i fattori di confondimento (status socio-economico, fumo di tabacco, consumo di alcol, inattività fisica, sovrappeso, diabete e ipertensione arteriosa) il rischio di infarto miocardico acuto nei gruppi prima riportati pur rimanendo in questo caso aumentato, non era però statisticamente significativo. Comunque rimaneva indubbia la relazione tra esposizione e risposta, soprattutto tra anzianità lavorativa e infarto miocardico acuto tra autisti di bus e tassisti.

 

La stessa relazione veniva poi dimostrata da studi di Wang e Corliz negli anni successivi. Meno numerosi sono invece gli studi presenti in letteratura sull’occorrenza delle patologie cerebrovascolari negli autisti. Nello studio di Tüchsen del 1997 e del 2006 si evidenzia un eccesso di rischio per emorragia intracranica non traumatica e per patologie cerebrovascolari in diversi gruppi di autisti professionali, soprattutto nei conducenti di persone, piuttosto che negli autisti di trasporto merci. Su tale argomento ci sono però ad oggi poche informazioni epidemiologiche.

 

Passiamo ora ad esaminare le patologie muscolo-scheletriche. Il Niosh sappiamo che ormai da anni le pone al secondo posto nella lista dei dieci problemi di salute più rilevanti nei luoghi di lavoro, e anche nell’Unione europea i disturbi muscolo-scheletrici al rachide e agli arti superiori rappresentano circa la metà di tutte le malattie legate al lavoro.

Pope del 2002 dimostra come le assenze negli autisti aumentano con l’aumentare dei chilometri percorsi.

Magnusson, nel ’96 dimostra come ci sia appunto un aumentato rischio di lombalgie, cervicalgie e brachialgie nei conducenti professionisti. È interessante proprio notare come si hanno quasi delle percentuali doppie rispetto alla popolazione generale. Le lombalgie arrivano all’81% negli autisti di autobus contro il 42% della popolazione generale; le cervicalgie si attestano intorno al 53% contro il 38% della popolazione generale; le brachialgie intorno al 42% contro il 15%.

Sempre nel ’96 in un altro studio interessante si dimostra una incidenza del 34% di lombosciatalgie nei conducenti professionisti contro il 26,6% nella popolazione generale.

I conducenti sono inoltre a maggior rischio di recidiva della sintomatologia.

Johanning riporta una maggiore prevalenza di disturbi lombari aspecifici in operatori ferroviari rispetto ai controlli. La prevalenza della sciatalgia era del 23% contro il 7% dei controlli.

Hoy nel 2005 va ad analizzare una popolazione di conducenti di carrelli elevatori, scoprendo che avevano una prevalenza di lombalgia quasi doppia rispetto al gruppo di controllo.

 

Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato che l’eccesso di rischio per lombalgie e altri disturbi muscolo-scheletrici negli autisti professionisti sono associati all’anzianità di guida, alla magnitudo e alla durata dell’esposizione a vibrazioni trasmesse al corpo intero.

Quindi anche in questo tipo di patologie come in quelle cardiovascolari i fattori che entrano in gioco sono numerosissimi: le vibrazioni al corpo intero, i fattori ergonomici, sicuramente lo stress lavoro-correlato e fattori psicosociali avversi: esiste un acceso dibattito sul peso che possono avere fattori psicosociali, quali il job demand, il job control, support e satisfaction.

 

La prevalenza dei disturbi muscolo-scheletrici agli arti superiori, dell’anca, della coscia e delle ginocchia, vengono analizzati da uno studio di Tamrin del 2009 e Chen del 2007. Gli autori riconducono i suddetti disturbi a fattori principalmente ergonomici.

Il numero degli studi riguardanti queste patologie è ben giustificato dal fatto che spesso le stesse sono causa di un numero non esiguo di casi in cui si rende necessario dare un giudizio di idoneità con limitazione o addirittura una non idoneità alla mansione.

 

A questo punto occorre quindi riassumere i vari punti trattati per meglio definire quali possono essere i margini per definire il giudizio di idoneità: è una patologia multifattoriale, è associata all’anzianità di guida, alla magnitudo e alla durata dell’esposizione a vibrazioni trasmesse al corpo intero, alle caratteristiche ergonomiche del posto di lavoro, quindi si potrebbe per esempio pensare di esprimersi sul giudizio modificando i tempi di esposizione alla guida laddove ovviamente è possibile.

 

Altra possibilità sarebbe quella eventualmente di pensare a una turnazione più rapida magari tra le linee urbane o extraurbane, laddove il documento di valutazione del rischio per le vibrazioni a corpo intero dell’azienda dimostri valori diversi nei tratti urbani rispetto a quelli extraurbani. Oppure aumentare, laddove è possibile, le pause tra le varie corse. Infatti la letteratura a tal proposito ci dice che il passaggio dal tempo pieno, superiore o pari alle 30 ore settimanali, a un tempo parziale di 20 ore settimanali, comporta effettivamente una riduzione della sintomatologia a carico del rachide negli autisti. Ciò è stato dimostrato anche recentemente, nel 2004 da Valenti.

 

Per quanto concerne le patologie a carico dell’apparato respiratorio, uno studio prospettico di mortalità, che ha analizzato 3.392 autisti professionali di bus e di camion di Londra, ha dimostrato un eccesso di rischio di mortalità per patologie dell’ap - parato respiratorio e in particolare bronchite cronica, enfisema e asma.

Torén, nel ’97, con uno studio di mortalità per asma bronchiale, pubblica i risultati ottenuti dall’indagine svolta tra il 1981 e il 1992 in autisti svedesi: i dati di mortalità nazionale venivano confrontati con quelli relativi a varie categorie di occupazione (autisti di bus, camionisti, tassisti), mostrando un eccesso di rischio di mortalità per patologia broncospastica, corretta anche per il fumo di tabacco.

Tüchsen, nel 2000, esamina una coorte di autisti maschi con età tra i 20 e i 59 anni negli anni ’81, ’86 e ’91 indagando i tassi di ospedalizzazione per Bpco con lo scopo di evidenziare le possibili associazioni con lo stato sociale e professionale.

Hannerz va a studiare le cause di ricovero ospedaliero negli autisti professionisti. Gli autisti maschi che prende in esame hanno un’età tra i 20 e i 59 anni, nel periodo ’81- 97. I rapporti standardizzati di ospedalizzazione per patologie croniche ostruttive erano più elevati negli autisti professionisti rispetto alla popolazione generale e negli autisti di trasporto passeggeri contro conducenti di veicoli commerciali. In questo caso l’eccesso di rischio è stato spesso associato alle abitudini voluttuarie, cioè al fumo di tabacco principalmente e agli inquinanti atmosferici.

 

Per quanto concerne le patologie dell’apparato gastrointestinale, la mansione di autista è stata spesso associata a patologie e a disturbi a carico di questo apparato quali sindromi dispeptiche, gastriti e anche ulcere peptiche. Nel ’90 Netterstrøm dimostra come appunto l’ulcera duodenale si ritrovi in un 12% di autisti di autobus contro un 6% della popolazione generale, ed era molto più frequente negli autisti maschi più giovani.

Sicuramente la dieta inappropriata e l’abuso di sostanze voluttuarie sono importanti fattori che entrano in gioco.

 

Le patologie a carico dell’apparato genito-urinario: in letteratura c’è un’aumentata prevalenza di disturbi a carico anche dell’apparato genito-urinario. Il Niosh nel ’74, esaminando una coorte di quasi 1.500 autisti di pullman, dimostra un eccesso significativo di disturbi degli organi genitali maschili e principalmente prostatiti.

Moskova nel ’93 e successivamente anche gli studi di Joubert del 2009 dimostrano la presenza di anomalie della spermiogenesi e della fertilità. Il possibile ruolo causale dell’esposizione prolungata a vibrazioni al corpo intero nella genesi di questi disturbi non è ben chiarita, considerando appunto anche i plurimi fattori di confondimento come l’età, la postura, la seduta prolungata e la comorbidità.

 

Per quanto concerne le patologie a carico dell’apparato uditivo, vi sono pochi studi con disegno trasversale che hanno indagato la funzione uditiva nei lavoratori dei trasporti. Abbiamo uno studio spagnolo di Corrêa del 2002 che esaminando 108 autisti di autobus ritrova una prevalenza di ipoacusia percettiva nel 32,7%. Nel 2009 un altro studio trasversale che esamina 4.300 camionisti di lungo raggio con un’anzianità superiore ai 20 anni, trova una prevalenza di ipoacusia percettiva del 18%, con una lieve predominanza del deficit dell’orecchio sinistro.

Anche in questo tipo di patologie i fattori che entrano in gioco sono tanti: il traffico veicolare, l’assenza di un efficiente isolamento acustico della cabina di guida, ma la carenza di dati longitudinali non consente di valutare l’entità e l’evoluzione del danno uditivo negli autisti.

 

Ultima classe di patologie che vado ad analizzare sono quelle neoplasiche.

Jakobsson nel ’97, pubblica un lavoro condotto su tassisti, autisti di bus e camionisti esaminati dal ’71 all’84 per il tumore a carico del polmone, trovando un rischio più elevato tra i conducenti di camion a corto raggio delle aree urbane.

Carcinomi dell’apparato genito-urinario: lo studio caso-controllo di Colt del 2004, dimostra un’associazione significativa tra carcinoma della vescica e trasporto su gomma.

Nel 2003 uno studio svedese ancora una volta parla di un eccesso di rischio di carcinoma della prostata tra autisti di camion impiegati nel settore delle costruzioni. Un eccesso di mortalità per neoplasie maligne viene ancora dimostrato da Michaels nel ’91.

Uno studio di coorte retrospettivo su 18.174 autisti di bus e di tram di Copenaghen, dimostra un aumento dell’incidenza di carcinomi maligni in entrambi i sessi. Altri autori hanno messo in dubbio le associazioni positive per i tumori del polmone e della vescica suggerendo un ruolo causale degli inquinanti atmosferici sottolineando che le stime di rischio non erano state aggiustate per il fumo di tabacco.

Petersen, nel 2010, con uno studio di coorte retrospettivo, 1978-2003, su 2.037 autisti di bus danesi, con un 70% di fumatori, dimostra un eccesso di rischio per carcinoma della vescica e del polmone. In questo caso, dopo aggiustamento per il fumo di tabacco, non è risultata alcuna associazione significativa tra anzianità lavorativa e occorrenza di patologia neoplasica nelle sedi indicate.

Quindi c’è una scarsa evidenza di associazione causale tra lavoro di autista di autobus urbani e incidenza di patologie neoplasiche.

 

Infine occorre esaminare un’altra grande famiglia di disturbi che possono essere riscontrati negli autisti: i disturbi del sonno.

La mansione di autista e in particolare quella di autista di mezzi pubblici è una attività complessa, che richiede l’integrità psico-fisica dell’operatore, accertata ai sensi del D.m. 88 del 1999 e dal D.lgs. 81 del 2008.

La presenza di alterazioni dello stato di salute, la somministrazione di terapie farmacologiche, l’assunzione di alcol e sostanze stupefacenti o psicotrope, la stanchezza legata alla guida prolungata e tutte quelle condizioni che interferiscono con la performance del lavoratore contribuiscono ad incrementare il rischio di incidenti stradali ed infortuni sul lavoro. Esistono inoltre patologie che determinano una controindicazione assoluta alla guida ed altre che incidono parzialmente sull’espletamento della mansione di autista. A tal riguardo occorre citare i disturbi del sonno. Tra questi la sindrome delle apnee ostruttive del sonno, Osas, ha una prevalenza tra il 2 e il 10% nella popolazione adulta italiana. La sonnolenza è il sintomo diurno più frequente ed è considerato un criterio fondamentale per la diagnosi. Diventa allora importante anche per questo tipo di patologie una stretta collaborazione con gli specialisti che di tali patologie si occupano.

 

Nello studio di Valenti del 2004 si sottolinea l’effetto positivo dell’attività motoria sportiva regolare anche sulla sintomatologia e sulla percezione del dolore a carico della colonna vertebrale; in particolare l’attività motoria aiuta al mantenimento del benessere dell’individuo e quindi del lavoratore.

 

L’attività di sorveglianza sanitaria può, per i medici competenti, rappresentare un momento importante per promuovere anche nuovi stili di vita. Come medici competenti abbiamo la possibilità infatti di seguire periodicamente una popolazione molto grande di lavoratori. Utile a tal proposito è ricordare l’insegnamento dell’Ico in base al quale gli scopi primari della nostra disciplina, della medicina del lavoro, sono la promozione e il mantenimento del più elevato grado di benessere inteso come benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori, in tutte le attività lavorative, quindi anche e soprattutto nelle attività di trasporto, e in definitiva l’adattamento all’uomo e dell’uomo alla sua mansione.

 

(…)

 

A questo punto però mi piaceva riportare uno studio interessantissimo che è stato condotto appunto dal Patronato Inca-Cgil, insieme al sindacato di categoria dei trasporti, che ha esaminato 600 questionari raccolti e analizzati dai medici di Patronato in alcune Regioni d’Italia. In particolare sono stati analizzati: 99 questionari nel Veneto, 138 in Toscana, 71 in Sicilia, 49 nelle Marche, 83 in Liguri, 45 in Campania e 37 nel Lazio. Come riporta l’Inca- Cgil, citando proprio i dati Inail: «Se nel trasporto in generale le denunce di malattia professionale sono scarse, nel solo trasporto terrestre sono addirittura quasi del tutto sconosciute. Nel 2015 – dice lo studio – le malattie lavoro-correlate nel settore trasporto e magazzinaggio in tutti i suoi comparti sono state 2.488, di cui 586 riconosciute con o senza indennizzo a 497 lavoratori. Considerando soltanto quelle dei soli autotrasportatori, il numero si riduce a 1.411, di cui riconosciute, con o senza indennizzo, 263, che hanno investito 234 lavoratori».

Siamo di fronte ad un iceberg!

 

 

Francesca Cosentino

 

 

L’articolo è tratto da:

Notiziario INCA online N.1/2018 - Seminario di aggiornamento dei medici legali Inca Cgil - ATTI CONVEGNO Roma, 14-15 dicembre 2017 (pdf)



Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.


Articol otratto da puntosicuro.it