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30.10.2017

Sono diversi nel mondo del lavoro i fattori di stress, di rischio psicosociale, di cui è necessario tener conto nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Specialmente in una realtà colpita dalla crisi economica e occupazionale, dall’aumento della competitività, del carico di lavoro, dei fenomeni di mobbing e di disagio lavorativo.

E uno dei fattori di cui è necessario tener conto è l’orario di lavoro, con particolare riferimento a turni di lavoro e lavoro notturno, che nel Decreto Legislativo n. 66 del 8 aprile 2003, recante "Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro”, sono così definiti:

lavoro a turni: qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane;

lavoratore a turni: qualsiasi lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni;

periodo notturno: periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino;

lavoratore notturno: 1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale; 2) qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.

 

A ricordarlo e ad affrontare il tema dell’orario lavorativo è un intervento al convegno “Attualita? in tema di fattori psicosociali del lavoro” che si è tenuto a Milano il 13 ottobre 2017 e che è stato organizzato dall’ Università degli Studi di Milano, dalla Fondazione IRCCS Ca’ Granda e dalla Regione Lombardia.

 

In “Orari di lavoro: valutazione e gestione del rischio”, intervento a cura di Giovanni Costa (Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano), si forniscono diverse informazioni sui ritmi biologici e sul cosiddetto assetto biologico circadiano umano. 

E con riferimento agli incidenti che avvengono alla guida di autoveicoli è ricordata la responsabilità, negli incidenti, dello stress, della sonnolenza e della fatica.

In particolare si indica che:

- “la sonnolenza alla guida fa aumentare di 8 volte il rischio di incidente grave;

- gli incidenti ‘da veicolo singolo’ hanno la maggiore probabilità di avvenire di notte o nel primo mattino, a parità di traffico;

- l’autista assonnato o affaticato non mette in atto le azioni appropriate per evitare l’incidente, in quanto spesso non percepisce la situazione rischiosa e spesso guida ad occhi chiusi per 5-50 secondi (microsonni);

- nel 2000, il Dipartimento dei Trasporti USA ha indicato la fatica come il principale problema per la sicurezza nel trasporto con un costo di 12 miliardi di dollari all’anno”. 

E studi clinici sul sonno documentano “un maggior rischio di incidenti, soprattutto stradali, per le persone che soffrono di:

- insonnia (2 volte superiore);

- OSAS (4 volte superiore)” (OSAS: sindrome delle apnee ostruttive del sonno);

- “narcolessia (6 volte superiore)”.

 

E sempre a proposito di sonnolenza e rischio di incidenti stradali si segnalano diversi dati e risultati di studi. Ad esempio

- “in UK, la sonnolenza è associata al 23% degli incidenti stradali, con rischio maggiore per gli autisti di viaggi lunghi autostradali (6 studi);

- in USA, il 6% guida assonnato almeno tre volte alla settimana e il 37% almeno una volta al mese;

- in Francia il 2% degli autisti (n= 35,000) ha riportato attacchi di severa sonnolenza tale da richiedere di fermarsi e il 9% ha dichiarato che ciò avviene ogni mese (Philip et al 2010)”.

 

L’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma poi sull’aumento degli errori di medici e infermieri in relazione ai turni di lavoro.

Ad esempio alcuni studi indicano che “tra gli infermieri è stato documentato:

- un significativo aumento degli errori, tali da mettere a repentaglio la sicurezza dei pazienti, in relazione alla durata del turno oltre le 8 ore, al lavoro straordinario e al lavoro a turni con lavoro notturno [Rogers et al, Health Aff 2004; Scott et al. Am J Crit Care 2006;Tanaka et al. Ind Health 2010);

- una significativa associazione tra aumento dei tassi di mortalità ospedaliera associata a turni prolungati o con ridotti livelli di personale e alto turnover di pazienti [Needleman et al. NEJM 2011; Trinkoff et al. Nursing Res 2011)”.

 

L’intervento riporta poi il rapporto tra il lavoro a turni e il lavoro femminile, con riferimento a varie possibili conseguenze della perturbazione dei ritmi circadiani.

 

Sono poi elencati i fattori che influenzano il rischio del lavoro a turni e i possibili criteri ergonomici per l’organizzazione dei turni:

- “limitare il più possibile il turno notturno;

- poche notti di seguito (2-3 max);

- preferire turni ruotanti al turno fisso notturno;

- la rotazione veloce è migliore di quella lenta;

- la rotazione in senso orario (M-P-N) è meglio della anti-oraria;

- durata del turno in base al carico di lavoro;

- evitare l’inizio troppo anticipato del turno del mattino;

- turni prolungati (9-12 h) solo quando il carico di lavoro è basso;

- cicli di turno il più possibile regolari;

- giorni di riposo preferibilmente dopo i turni notturni;

- consentire flessibilità negli orari”. 

 

Sono ricordate anche le azioni compensative (contrappesi e contromisure), i fattori che influenzano la tolleranza del lavoro a turni e i soggetti più vulnerabili, i lavoratori anziani.

 

Infatti nei lavoratori anziani si può avere:

- “Riduzione della durata del sonno: risveglio precoce, > risvegli;

- < Propensione al sonno al mattino presto (mattutinità);

- > Propensione al sonno durante il giorno;

- Riduzione della qualità del sonno: < sonno profondo (SWS);

- Più disturbi del sonno in generale;

- Sonno diurno: > stadio 1; < SWS; > diuresi; > risvegli; > escrezione di noradrenalina;

- Minore ampiezza dei ritmi biologici e più lento aggiustamento di fase nei successivi turni di notte;

- Maggiore importanza del processo omeostatico sul livello di sonnolenza e di fatica;

- Ridotta efficienza psico?fisica;

- Maggiore fatica;

- Salute compromessa”. 

Queste alcune raccomandazioni per i turnisti anziani:

- “Limitare il lavoro notturno dopo i 45-50 anni;

- Lavoro notturno fisso solo su base volontaria;

- Priorità al trasferimento ai turni diurni;

- Più scelte per gli schemi di turno;

- Ridurre il carico di lavoro fisico;

- Aumentare le pause;

- Più possibilità di pisolini;

- Maggiore sorveglianza sanitaria (periodicità)”.

 

Concludiamo segnalando che l’intervento riporta anche suggerimenti sull’informazione/ formazione per management e lavoratori e specifiche indicazioni per la sorveglianza sanitaria.

 

Tiziano Menduto

 

 

 

Scarica i documenti da cui è tratto l'articolo:

“ Orari di lavoro: valutazione e gestione del rischio”, a cura di Giovanni Costa (Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano), intervento al convegno “Attualità in tema di fattori psicosociali del lavoro” (formato PDF, 5.61 MB).



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Articolo tratto da puntosicuro.it