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24.10.2023

La Formazione alla Sicurezza degli Accordi Stato Regioni è servita a qualcosa?

 

Sono passati quasi 12 anni dall’emanazione dell’ASR per la formazione di dirigenti, preposti e lavoratori e sono state erogate milioni di ore di formazione alla sicurezza ma sono altrettanti anni che non ci si schioda dai 1000 morti ca. ogni anno.

 

Visto l’andamento degli infortuni mortali, da oltre un decennio sempre sopra l’asticella dei 1000 morti l’anno, qualche dubbio sull’efficacia dei milioni di ore di formazione erogata sorge spontaneo.

 

Di certo, non si può dire che non sia stata efficace per quanto riguarda i bilanci della moltitudine di associazioni, enti, aziende, ecc. nate come i funghi dopo la pioggia settembre, per sfruttare il nuovo business, senza che esistesse una seria griglia di verifica della qualità di questi che andasse, nella migliore delle ipotesi, al di là dell’accreditamento presso le Regioni.

 

L’analisi delle statistiche relative agli infortuni sul lavoro, presentate periodicamente dall’INAIL anche se in valore assoluto negli ultimi anni e quindi statisticamente poco significative se non pesate sulle ore effettivamente lavorate come previsto anche dalla UNI 7249 (chissà quando l’Istituto ci spiegherà il perché di tale scelta visto), continuano ad evidenziare un loro andamento tutt’altro che positivo.

Infatti, nonostante l’emanazione da quasi un trentennio del D. Lgs. n° 626/1994 e da più di 15 anni del D. Lgs. n° 81/2008, il fenomeno, e ce lo ricordano i recenti gravi eventi di Brandizzo e Casalbordino, è ben lungi dal poter essere considerato sotto controllo.

 

La maggior parte di questi infortuni, come risulta dagli atti processuali relativi a gravi eventi, è in buona parte dovuta ad una inefficace formazione alla sicurezza sul lavoro.

 

Diciamo inefficace perché, salvo qualche caso isolato, i lavoratori coinvolti, avevano il “pezzo di carta” che evidenziava la frequenza ai corsi di formazione generale e specifica nonché quella relativa ai corsi previsti per le attrezzature di lavoro.

 

Poi si potrebbe dire che si era di fronte a corsi farlocchi o virtuali, ad attestati acquistati da enti o società o altro compiacenti, di cui qualcuna finita anche su “Striscia la Notizia” ….. ma non è questo il vero problema visto che gli eventi erano occorsi anche a soggetti che i corsi e gli aggiornamenti li avevano fatti realmente con tanto di registro e test finale e attestato stampato su cartoncino Modigliani 120 come previsto in Lombardia.
 

Non limitandosi alle cause superficiali dell’evento, grattando la crosta, si poteva scoprire che buona parte di questi infortuni mortali erano avvenuti per la totale assenza di un benché minima consapevolezza situazionale, evidenziando così l’inefficacia degli interventi formativi effettuati dove per “consapevolezza situazionale” s’intende <<la capacità di valutare l’ambiente che ci circonda alla ricerca di possibili rischi in modo da poterli evitare o perlomeno saper controllare la situazione>>.

 

Pertanto, ci se deve domandare come mai, dopo tutto questo tempo e il tanto danaro speso dalle aziende per quella che viene definita “formazione alla sicurezza” del proprio personale, la situazione è ancora quella che è.

 

Certamente chi scrive non ha la presunzione di avere in tasca la soluzione al problema …. altrimenti avrebbe fondato la propria società di formazione sbaragliando la concorrenza ….. ma obiettivamente qualche dubbio sulla reale efficacia di quanto fatto fino ad oggi, viene sicuramente.

 

La domanda da fare a questo punto è se la formazione alla sicurezza degli ASR sia veramente Formazione o sia stata e sia qualcosa d’altro.

 

È opportuno ricordare ancora una volta che la formazione alla sicurezza sul lavoro è un processo che consente alle persone interessate di diventare più preparate nello svolgere un'attività non solo limitatamente ad una maggiore conoscenza ed abilità, ma, soprattutto, grazie all'acquisizione di una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e del proprio comportamento, connessi all'espletamento della propria attività lavorativa nello specifico contesto fisico e sociale ove esse operano.

Il problema di fondo diventa dunque quello di cambiare un comportamento imposto e spesso non condiviso, in uno pienamente accettato, in quanto la sicurezza diventa parte integrante della propria esperienza lavorativa.

 

Per spiegare meglio cosa s’intenda si può fare ricorso niente di meno che a Sir Isaac Newton.

 

La storiella, piuttosto nota, è questa: Newton era seduto sotto un albero di mele a riflettere (qualcuno dice che più che pensare, stava dormendo) e venne colpito da un frutto che gli cadde in testa.

 

Preso atto di questo fenomeno, non si sa se per conseguenza del colpo, elaborò la teoria della gravitazione universale. Chi ha studiato un po’ di fisica ricorda che la Legge di Gravitazione Universale elaborata da Newton spiegava che la mela e qualunque altro corpo si attraevano con una forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza e questa era direttamente proporzionale alla massa dei corpi coinvolti.

 

La formula è questa:

 

 

 

Perché questa storiella e cosa ha a che fare con la formazione?

 

Proviamo a spiegarlo.

 

Newton sotto l’albero si beccò la mela sulla testa e, quindi, ebbe quella che possiamo definire una “Esperienza concreta”.

 

Prese la mela e cominciò a farla cadere e ad osservare il fenomeno domandandosi perché il frutto cadeva sempre perpendicolarmente al terreno verso il centro della terra. Va detto che osservò per parecchio tempo, visto che la legge arrivò dopo quasi 20 anni. In ogni caso, questa è una fase che possiamo definire come “Osservazione riflessiva”.

 

Dopo 20 anni dall’evento, sir Isaac elaborò la citata Legge di Gravitazione Universale. Questa fase la possiamo definire come “Concettualizzazione astratta”.

 

Ovviamente, Newton non si fermò alla concettualizzazione, ma iniziò a sperimentare mettendo in pratica ciò che aveva teorizzato. Questa fase la possiamo definire “Sperimentazione attiva”.

 

 

 

 
 

Quanto descritto può rappresentare uno dei modi con cui noi apprendiamo.

 

A questo punto dobbiamo domandarci se questo è il modo con cui noi apprendiamo quando frequentiamo i corsi di formazione alla sicurezza ed in particolare quelli i cui contenuti, modalità di erogazione, ecc., sono previsti dai vari Accordi Stato Regioni.

 

Per provare a dare una risposta, dobbiamo ovviamente farci almeno un paio domande.

 

La prima domanda è:

<<I corsi previsti dagli ASR prevedono che ogni partecipante viva, durante i corsi, esperienze concrete riguardo ai rischi e le misure di prevenzione e protezione da adottare durante l’espletamento della propria mansione nel particolare contesto fisico e sociale delle attività svolte dalla sua impresa?>>.

 

La seconda domanda è:

<<Durante i corsi previsti dagli ASR, i partecipanti hanno la possibilità di discutere riguardo la tipologia delle misure di prevenzione e protezione da adottare per eliminare o ridurre al minimo i rischi della propria mansione tenendo conto della propria esperienza e del contesto fisico e sociale in cui operano?>>.

 

La risposta, è evidente, è negativa per entrambe le domande.

 

Prima abbiamo detto che le quattro fasi descritte rappresentano una delle modalità con cui noi apprendiamo.
Sappiamo anche che le regole per la prevenzione degli infortuni sul lavoro vengono decise da altri e non certo dai partecipanti ad un corso.

Queste regole sono frutto di esperienze concrete e osservazioni riflessive (probabilmente …. ma non si può essere sicuri!) da parte di altri soggetti operanti in ruoli differenti da quelli che poi queste regole le dovranno applicare sul campo. Altrettanto certo è che nessun partecipante sia passato da queste due prime fasi di apprendimento: esperienza concreta e osservazione riflessiva.

Pertanto, mancando queste prime due fasi del processo nella stragrande maggioranza dei corsi erogati, come possiamo pensare che ci sia stato un vero apprendimento?

Diamo per scontato che i partecipanti abbiano “appreso” solo perché hanno risposto correttamente alle canoniche dieci domandine del questionario finale con tre possibili risposte di cui una sola corretta?

 

Nella sicurezza sul lavoro, i modelli comportamentali sono imposti da obblighi normativi e procedurali che, in quanto tali, non forniscono motivazioni adeguate. L’obiettivo della formazione è quello del cambiamento e cioè passare da un comportamento imposto e spesso non condiviso, ad uno pienamente accettato in quanto la sicurezza sul lavoro diventa parte integrante della propria esperienza lavorativa

 

I vari Accordi emanati dal 2006 (il primo fu quello sul RSPP), tengono conto di questo aspetto fondamentale?

Assolutamente no.

 

Ricordiamo che l’apprendimento è un processo, attraverso cui si acquisiscono conoscenze, capacità, atteggiamenti e cambiamento comportamentale.

Gli adulti apprendono in modo diverso dai bambini anche se le modalità con cui lo fanno sono legate alla infanzia con la classica impostazione scolastica.

Questa impostazione è palesemente di tipo passivo perché prevede che da una parte ci sia il docente che spiega e trasmette dei contenuti e dall’altra ci siano gli alunni che devono imparare e devono, poi, dimostrarlo rispondendo alle interrogazioni ed effettuando delle prove scritte, entrambe oggetto di valutazione con il classico voto.

 

L’impostazione scolastica non può essere usata in un ambito formativo dove i partecipanti sono adulti e dove ognuno di loro ha un proprio modo di vedere le cose e ciò è frutto delle conoscenze esperienziali maturate e sedimentatesi nel tempo.

 

Gli adulti che partecipano ad un intervento formativo in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro devono essere coinvolti in modo da renderli partecipi degli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Inoltre, è importante che qualunque intervento formativo debba trovare un palese riscontro nello specifico contesto lavorativo dove i partecipanti operano.

 

Tutto questo perché gli adulti sentono sempre l’esigenza di sapere perché occorra apprendere qualcosa ed investono una considerevole energia nell’esaminare i vantaggi che trarranno dall’apprendimento.

 

Come detto prima, qualsiasi gruppo di adulti è più eterogeneo rispetto ad un gruppo di giovani in termini di background, stili di apprendimento, motivazioni, bisogni, interessi e obiettivi.

Ecco perché è fondamentale concentrarsi sulle tecniche esperenziali rispetto a quelle puramente trasmissive previste dagli ASR o da altre iniziative comunicative per la SSL come safety day, rappresentazioni teatrali, concerti, ecc, dove erroneamente si pensa che siano i messaggi e non le modalità di comportamento ripetute e condivise che determinano la diffusione della cultura della sicurezza intesa come  “l’insieme delle pratiche sviluppate e costantemente adottate dagli attori coinvolti, sulla base di principi e valori condivisi all’interno della propria organizzazione, per controllare i rischi presenti durante l’espletamento delle proprie attività lavorative”.

 

Un adulto è molto più incline ad apprendere nuove conoscenze ed assumere atteggiamenti aperti se i temi sono presentati e applicati ad un contesto reale ed è questo un punto fondamentale nella progettazione dell’intervento formativo, negli obiettivi stabiliti, nei contenuti scelti e nelle modalità di esposizione del docente.

 

Quindi se volessimo facilitare un processo di apprendimento per la SSL dovremmo:

  • focalizzare gli obiettivi;
  • valorizzare/utilizzare l’esperienza dei partecipanti;
  • chiarire i vantaggi che ne derivano;
  • contestualizzare l’apprendimento nella pratica
  • riconoscere spazi di autonomia ai partecipanti.

 

Un intervento formativo in materia di SSL deve tenere ben presente che i partecipanti:

  • sono motivati ad apprendere quando percepiscono bisogni ed interessi che l’apprendimento può soddisfare;
  • ciò che apprendono deve essere percepito come immediatamente utile;
  • si concentrano di più sugli aspetti legati al quotidiano e applicabili alla vita professionale in azienda;
  • hanno bisogno di partecipare in maniera attiva ed autonoma alla costruzione del proprio apprendimento;
  • reagiscono meglio in un ambiente collaborativo;
  • devono convalidare le proprie informazioni a partire dalle loro opinioni ed esperienze;
  • possono costituire una fonte di conoscenza per il docente e i componenti del gruppo in formazione;
  • possono partecipare in modo attivo e consapevole alla pianificazione dell’apprendimento.

 

Il formatore non si deve presentare come depositario di conoscenze assolute, ma come facilitatore di riflessioni e analisi dei partecipanti, come colui che aiuta la valorizzazione delle competenze dei singoli.

 

La formazione sulla sicurezza non deve essere solamente fine a sé stessa (per conoscere o capire meglio qualcosa), ma deve passare innanzitutto attraverso quei canali capaci di influire sulle azioni e sui comportamenti.

 

Una formazione sulla sicurezza davvero efficace è quindi quella che sa costruire, con il contributo di tutti, dei percorsi di condivisione, approfondimento e rilettura degli avvenimenti significativi di ognuno e, con il supporto attento e disponibile del formatore, può creare le condizioni per una sedimentazione e una maggiore consapevolezza situazionale.

 

In un percorso esperienziale tutti hanno qualcosa da dire e da aggiungere. Anche i contributi più critici possono essere essenziali al progresso della discussione e possono garantire una migliore appropriazione dei contenuti comuni.

 

Le modalità di un intervento formativo devono differenziarsi tenendo conto dei lavoratori da formare perché è un grave errore organizzare ed eseguire un intervento formativo uguale per partecipanti con esperienza, settore e mansioni molto diverse fra di loro.

 

Invece, i corsi previsti dagli ASR prevedono l’omogeneizzazione delle realtà lavorative in base al codice ATECO accomunando le realtà aziendali in base all’entità del rischio.

 

Per fare, efficacemente, un'attività di formazione alla sicurezza, bisogna abbandonare i vecchi schemi di riferimento presenti negli ASR e basarsi su presupposti e metodologie, ben diverse da quelle che il sistema formativo per la sicurezza sul lavoro ha offerto e tuttora offre.

Quest'attività deve porre al centro dell'attenzione le esperienze quotidiane di lavoro, in particolare, per quel che concerne i vissuti e le valutazioni del rischio e della prevenzione così come sono state maturate all'interno dell’azienda o, almeno, del settore di appartenenza utilizzando anche strumenti evoluti che le moderne tecnologie oggi offrono.

 

L'obiettivo principale del processo formativo deve essere quello di far emergere, dagli appartenenti a gruppi operativi omogenei (appartenenti alla stessa azienda o quantomeno allo stesso settore e non provenienti da diverse aziende e quindi realtà organizzative differenti come avviene nella maggior parte dei corsi offerti), tutte le conoscenze necessarie per individuare e valutare i rischi presenti nella attività lavorativa e, soprattutto, i comportamenti più opportuni per eliminarli e/o controllarli, integrando, quando occorre, le conoscenze mancanti, carenti o distorte.

 

Un intervento formativo, per essere efficace, deve, dunque interessare l'intera struttura organizzativa, anche perché, la sicurezza è funzione di variabili organizzative, tecniche, normative, economiche, produttive, sociopsicologiche, ecc., che non possono e non devono essere trascurate nella formazione alla sicurezza.

 

Bisogna, dunque, agire sulle strutture e sugli individui; ciò vuol dire che bisogna cominciare a pensare ad interventi formativi pensati e tarati in funzione della specifica realtà aziendale o del settore e dei relativi bisogni.

 

Come noto, agli addetti ai lavori, da metà settembre è stata diffusa la bozza del nuovo Accordo Stato Regioni che includerà tutti gli altri emanati in passato. Ovviamente, trattandosi di una bozza, i contenuti vanno presi con le molle in quanto, attraverso i vari passaggi, potrebbero esserci molti cambiamenti.


Comunque, da una veloce lettura delle 130 pagine della bozza, di tutto quanto detto finora, non c’è traccia in quanto l’approccio seguito è lo stesso dei precedenti ASR.

Maggior preoccupazione per chi scrive deriva dal fatto che invece di concentrarsi sull’approccio metodologico, l’attenzione oltre che dei sindacati anche degli addetti ai lavori, si è diretta verso la previsione della riduzione delle ore formative come se ciò fosse foriera di chissà quali catastrofici eventi.

Purtroppo, sembra che non si comprenda che non è il monte ore a qualificare la formazione come efficace ma le modalità con cui il percorso formativo è stato progettato ed erogato a partire dall’analisi degli specifici bisogni.

In conclusione, non si può continuare, nonostante i risultati negativi dell’ultimo decennio, a rifiutare gli approcci innovativi e visioni più ampie del problema, rifiutandosi di mettere in discussione approcci e criteri ritenuti inalterabili.

Si corre il rischio di rifugiarsi sempre nella certezza di "ciò che si è sempre fatto" e di considerare il "nuovo" come inutile e sbagliato perché differente dal vecchio modello ormai consolidato.

È un atteggiamento di rifiuto di analisi; il rischio che si corre, in questo caso, è quello di chiudersi rispetto ai reali bisogni di una formazione alla sicurezza che sia realmente efficace.

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione





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