18.08.2022
Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure di sicurezza necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore, in base all’esperienza, alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio.
Nel caso di danno alla salute del lavoratore conseguente ad infortunio sul lavoro, la responsabilità del datore di lavoro è esclusa solo se il danno è stato cagionato da una condotta atipica, anomala, imprevedibile ed eccezionale del prestatore tale da porsi come causa esclusiva dell’evento dannoso. In tal caso si manifesta il c.d. rischio elettivo, che consiste nella condotta abnorme del lavoratore tale da interrompere il nesso causale tra obblighi di prevenzione e protezione dell'imprenditore e l'evento infortunistico.
Al di fuori di tale ipotesi, statisticamente piuttosto residuale nelle sentenze civili e penali, in linea di principio il datore di lavoro è sempre responsabile quando omette di adottare tutte le necessarie misure protettive, tecniche-organizzative e procedurali, incluse quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa (imperita, imprudente) del lavoratore, tra le quali la vigilanza assidua affinché le misure obbligatorie e adottate siano rispettate da parte del dipendente.
È dunque parimenti responsabile se non vigila (o non organizza un adeguato sistema di vigilanza) affinché le misure adottate siano rispettate da parte del dipendente. Infine, l'obbligo datoriale di tutela delle condizioni di lavoro (obbligo della massima sicurezza tecnica-organizzativa-procedurale ex art. 2087 c.c.) non è soddisfatto se le misure di prevenzione non sono idonee ad eliminare nella misura massima possibile anche i rischi derivanti da imprudenza, negligenza o imperizia del lavoratore.
Il fatto
Il lavoratore ha convenuto in giudizio la società - datrice di lavoro (appaltatrice) - e la società committente al fine di ottenere il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito a seguito di un infortunio avvenuto sul luogo di lavoro.
Durante il sollevamento di lastre del peso di 3.200 kg, da lui movimentate con un carroponte tramite telecomando, per caricarle su autoarticolati, il lavoratore (che operava presso lo stabilimento in virtù di un contratto di affidamento lavori di facchinaggio, magazzino e carico camion) era stato colpito a causa di una oscillazione del carico mentre si tratteneva nella zona di movimentazione, anziché spostarsi nell’area sicura delimitata da apposite strisce colorate sul pavimento. In sostanza era rimasto nella zona di lavorazione a “rischio residuo”.
L’INAIL ha proposto azione di regresso nei confronti di tutte e due le società coinvolte, l’appaltatrice e la committente.
Sia il Tribunale che la Corte d’appello in secondo grado respingevano la richiesta risarcitoria del lavoratore, sostenendo che l’incidente andava ascritto a colpa esclusiva del lavoratore. Veniva pure respinto il ricorso dell’INAIL. Infatti, il giudice d’appello ha ritenuto indimostrata l’omessa vigilanza tanto del datore di lavoro quanto della committente.
Viceversa era emersa una condotta anomala del lavoratore, che ricorre in Cassazione.
Il ricorso del lavoratore
Nel ricorso l’infortunato lamenta la mancata vigilanza e la violazione delle misure di sicurezza da parte del datore di lavoro, nonchè l’inidoneità della misura preventiva adottata nell’attività di caricamento delle lamiere, sostenendo “che le misure di sicurezza adottate, e in particolare la segnaletica orizzontale volta a delimitare la zona “a rischio residuo”, non fossero idonee ad impedire l’accesso del lavoratore nelle suddette aree, mentre sarebbe stata esigibile l’installazione di una barriera fisica o di appositi dispositivi elettronici, in grado di ostacolare il passaggio del lavoratore anche per disattenzione o leggerezza o, in alternativa, una assidua vigilanza”.
Con il secondo motivo ha dedotto “la violazione degli artt. 2 lett. e), 18, 19 e 299 del d. lgs. n. 81 del 2008, per non avere la Corte di merito considerato che la posizione di garanzia, di cui erano titolari la datrice di lavoro e la committente, comportasse, oltre all’obbligo di predisporre le misure di sicurezza, anche quello di vigilare adeguatamente sul rispetto di tali misure da parte dei dipendenti”.
Egli contesta la sentenza d’appello che ha considerato come anomalo il suo comportamento perché, al momento di azionare il carroponte, era rimasto vicino alle cataste di lamiere, senza recarsi nella zona sicura delimitata dalle linee verdi presenti sul pavimento. Il giudice di merito ha ritenuto sufficiente tale unica misura disposta dal datore di lavoro, escludendone la responsabilità.
La decisione
La Suprema Corte accoglie la richiesta del ricorrente, ritenendo che la sentenza d’appello non rispetti i principi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
La sentenza ricorda che: “L’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro, e che trova fondamento nell’art. 32 Cost. oltre che nell’art. 31 della c.d. Carta di Nizza, ove si prevede che «ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose», è declinato attraverso specifiche disposizioni di legge (tra cui il d.lgs. 81 del 2008) e attraverso la norma di chiusura dettata dall’art. 2087 cod. civ., così che è imposto al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore, in base all’esperienza ed alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio, sia pure, come è stato precisato, in relazione ad obblighi di comportamento concretamente individuati (v. in tal senso, Cass. n. 30679 del 2019; n. 14066 del 2019; n. 12863 del 2004)”.
I capisaldi della elaborazione della Cassazione sono i seguenti:
Dunque la Corte di merito che ha erroneamente respinto il ricorso del lavoratore “non ha fatto corretta applicazione dei principi ... richiamati là dove ha escluso ogni responsabilità datoriale sul presupposto di una condotta “anomala” del lavoratore, e sebbene avesse accertato in fatto che questi si era infortunato, non per aver posto in essere una condotta arbitraria, dettata da finalità e motivi personali ed estranea allo svolgimento delle mansioni e alla direttive ricevute (secondo i canoni del “rischio elettivo”), bensì mentre eseguiva come di consueto la prestazione lavorativa, consistente nello spostamento delle lamiere, e stava azionando il carroponte tramite l’apposita pulsantiera; in tale frangente, era stato colpito dalla oscillazione delle lamiere sollevate col carroponte, in quanto si trovava nella zona di movimentazione del carico, da cui non si era tempestivamente allontanato”.
La sentenza impugnata è dunque partita “dall’assunto erroneo di configurabilità di un rischio elettivo, capace di recidere il nesso causale tra l’obbligo di sicurezza a carico del datore e/o committente e l’infortunio occorso; la sentenza impugnata è incorsa nel denunciato errore di diritto, per violazione dell’art. 2087 cod. civ., in quanto ha del tutto omesso di indagare sulla idoneità delle misure di prevenzione adottate dalla datrice di lavoro e/o dalla committente (apposizione di segnaletica orizzontale costituita da una linea verde e procedure operative POS 11 e 20) a scongiurare il rischio connesso alla movimentazione delle lamiere, di notevole peso e dimensioni; rischio che era necessario valutare anche in relazione ad una possibile condotta negligente e imprudente del lavoratore”.
Per tutti questi motivi la Cassazione “accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità”.
Rolando Dubini, avvocato in Milano, cassazionista
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