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18.09.2023

Il RSPP ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli.

 

 

Torna la Corte di Cassazione a porre in evidenza la posizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione nel caso di un infortunio accaduto in una azienda presso la quale lo stesso stava operando. Condannati nei due primi gradi di giudizio il datore di lavoro assieme al RSPP e a seguito del loro ricorso alla Corte di Cassazione per l’annullamento della condanna agli stessi inflitta, la suprema Corte ha richiamato e riepilogato l’orientamento che si è andato a consolidare nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla posizione del datore di lavoro e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione nonché al comportamento del lavoratore infortunato.

 

Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione in particolare, ha precisato la stessa, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli. disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri.

 

Il datore di lavoro, da parte sua, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.

 

Per quanto riguarda invece il comportamento del lavoratore la suprema Corte ha ribadito il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera dallo stesso governata oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.

 

Inammissibili quindi sono stati ritenuti i ricorsi dalla Corte di Cassazione che ha pertanto condannato i ricorrenti al versamento della prevista sanzione alla Cassa delle ammende.

Il fatto e l’iter giudiziario

 

La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato l’amministratore di una società e il dirigente delegato alla sicurezza della società stessa per le lesioni subite da un lavoratore dipendente, aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionate per colpa generica e specifica (violazione dell'art. 71, comma 1, in riferimento al D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 6.1).

 

In particolare, era stato contestato ai predetti imputati di aver consentito l'utilizzo di un macchinario per la produzione della pasta lunga, dotato di dispositivo di taglio a due lame, privo di adeguato sistema di protezione atto a evitare il contatto accidentale con le mani dell'operatore, così creando le condizioni di pericolo a causa delle quali il lavoratore, intento alle mansioni lavorative presso il macchinario stesso, per ripulire il sistema di taglio dall'impasto accumulatosi in eccedenza, entrava in contatto con le lame, procurandosi l'amputazione del IV e del V dito della mano sinistra.

 

Gli imputati hanno ricorso per cassazione con unico atto e stesso difensore, formulando alcune motivazioni. Con un primo motivo la difesa ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla valutazione della normativa di settore e della congruità rispetto ad essa delle misure organizzative adottate. Secondo la difesa nella sentenza non vi era stata una analisi sulla natura e le caratteristiche del macchinario e dei sistemi di sicurezza da installare per evitare contatti accidentali con ingranaggio in movimento né i giudici territoriali avevano effettuato la doverosa verifica delle misure organizzative adottate, intese come complesso delle procedure di produzione e le istruzioni tecniche per l'utilizzo dei macchinari e neppure accertato se il datore di lavoro avesse preso in considerazione la gestualità del lavoratore in relazione alla singola fase lavorativa. Nell’esame del rapporto fotografico, inoltre, sarebbe emerso, secondo la difesa, che la struttura del macchinario e il posizionamento del cosiddetto "gruppo" erano tali da garantire la interdizione dell'operatore, non richiedendo la fase lavorativa in questione che il lavoratore si dovesse avvicinare alla macchina. Le istruzioni da seguire per la produzione della pasta lunga, altresì, erano riportate in dettaglio nella documentazione prodotta dalla stessa, emergendo dal suo esame che il datore di lavoro aveva adottato tutte le misure organizzative di cui al punto 6.5. dell'art. 5 del D. Lgs. n. 81 del 2008, richiamato dall'art. 70, comma 2 e dall'art. 71, comma 3.

 

Come altro motivo la difesa ha dedotto analoghi vizi con riferimento alla prevedibilità dell'evento lesivo, in relazione all'area di rischio governata dal titolare della posizione di garanzia. Il lavoratore non doveva compiere la manovra posta in essere e aveva disatteso le direttive datoriali, in tal modo violando il modello collaborativo che impone anche al lavoratore di contribuire alla sicurezza sui luoghi di lavoro. A tal fine, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto di alcuni elementi fondamentali, quali la circostanza che il DVR prevedeva la teorica lesività delle componenti meccaniche in movimento, che la produzione di pasta lunga non richiedeva la presenza del lavoratore all'interno della zona in cui si trovavano gli ingranaggi in movimento, che la zona dei coltelli era di difficile accesso, che l'operazione posta in essere dal lavoratore esulava dalle mansioni affidategli, che lo stesso aveva affermato di avere commesso un errore; che gli imputati avevano fatto tutto quanto in loro potere per rendere sicuro il ciclo produttivo e che la macchina era automatica e non aveva bisogno di omologazione, essendo stato costruita prima del 1996.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

 

I ricorsi sono stati ritenuti inammissibili dalla Corte di Cassazione. La stessa ha posto in evidenza che dalla ricostruzione dei fatti era emerso che incontestabilmente il lavoratore aveva posto in essere una manovra pericolosa, inserendo la mano in prossimità delle lame senza interromperne il funzionamento, e che il macchinario da impiegarsi nel procedimento di lavorazione della pasta non era comunque dotato di un presidio idoneo a intercludere l'accesso alla zona delle lame in movimento da parte dell'operatore. Ha sottolineato, inoltre, la sprema Corte che l'iniziativa scorretta del lavoratore era stata motivata dalla necessità di ripulire il sistema dall'eccedenza di impasto accumulatosi e che l'organo ispettivo, ancora, aveva imposto l'installazione di un apposito cancello per impedire l'accesso alla macchina in funzione di altezza tale che avrebbe certamente scongiurato la pericolosa iniziativa del lavoratore.

 

La Corte suprema ha ricordato, quanto alla cornice normativa di riferimento, che secondo l'art. 71 del D. Lgs. n. 81/2008 "Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo precedente, idonee ai fini della salute e della sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie" e che, in base al punto 1 dell'allegato 6, tali attrezzature devono essere installate, disposte e usate in maniera tale da ridurre i rischi per i loro utilizzatori e per le altre persone e pertanto il rischio dell'accessibilità da parte del lavoratore addetto alla produzione della pasta lunga alle parti taglienti in movimento del macchinario era certamente governabile da parte del datore di lavoro.

 

La ricostruzione in diritto, ha sostenuto ancora la suprema Corte, è del tutto coerente con l'orientamento andatosi consolidando nella giurisprudenza di legittimità, in ordine all'efficacia interruttiva del comportamento del lavoratore e sugli obblighi di collaborazione gravanti sul medesimo. Infatti, è certamente vero che, in materia di prevenzione antinfortunistica, si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 20), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia. Tuttavia, da tali principi non possono trarsi le conseguenze in diritto che la difesa, in più passaggi del ricorso, ha inteso trarne.

 

Ciò che va, infatti, fermamente ribadita in questa sede, ha così proseguito la Sezione IV, è la perdurante validità del principio secondo il quale non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore. All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Il lavoratore, nel caso in esame, non ha posto in essere una condotta che ha concretizzato un rischio imprevedibile ed eccentrico, come la difesa ha reiteratamente affermato, anche facendo leva sulle ammissioni di errore della stessa persona offesa. Questa, infatti, ha certamente agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnategli; di esse i gestori del rischio erano pertanto edotti; il lavoratore aveva disatteso, per imprudenza e negligenza, le istruzioni disponibili sul corretto utilizzo del macchinario; tale imprudenza/negligenza non può considerarsi di per sé eccentrica o imprevedibile, anche avuto riguardo alla possibilità di accumulo di impasto nei meccanismi; il macchinario era certamente privo di un presidio idoneo a segregare le parti taglienti durante il funzionamento e a prevenirne il contatto con l'operatore; tale evenienza era del tutto prevedibile, siccome riguardante un comportamento imprudente da parte di un lavoratore addetto proprio a quella lavorazione.

 

Per quanto riguarda invece la posizione dell'amministratore delegato, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, e del datore di lavoro, la suprema Corte ha ricordato che il RSPP, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri e ha citato, in merito, la nota sentenza Thyssenkrupp (Sez. U, n. 38343/2014, Espenhahn) e la sentenza Sez. IV n. 11708 del 27/12/2018, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sulla responsabilità del RSPP per infortunio da errato DVR”.

 

In tale contesto, però, il datore di lavoro, ha così concluso la suprema Corte, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.

 

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi è seguita quindi la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 23986 del 5 giugno 2023 (u.p. 16 maggio 2023) - Pres. Ciampi – Est. Cappello – PM Casella - Ric. (omissis). - Il RSPP ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli.


 



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