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30.10.2023

Le responsabilità del RLS per l’infortunio di un lavoratore

Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza risponde per un infortunio (in concorso con il datore di lavoro) se ha omesso di promuovere l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare salute e sicurezza dei lavoratori.

 

E’ una applicazione dell’art. 50 comma 1 lettera h) del D. Lgs. n. 81/2008 quella che ha spinto la Corte di Cassazione in questa sentenza a rigettare il ricorso presentato da un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ( RLS) condannato nei due primi gradi di giudizio perché ritenuto responsabile in concorso con il suo datore di lavoro dell’infortunio di un lavoratore rimasto mortalmente schiacciato da un fascio di tubolari caduti da una scaffalatura. E’ una sentenza importante questa perché si registra in essa una presa di posizione della suprema Corte nei confronti di tale figura della organizzazione della sicurezza sul lavoro nelle aziende che costituirà molto probabilmente un importante precedente nella giurisprudenza di legittimità e che ha già sollevato comprensibili reazioni da parte di operatori e giuristi per le conseguenze che potrebbe avere, anche perché nello stesso procedimento penale è stata registrata l’assoluzione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione della stessa azienda imputato per gli stessi reati posti a carico del datore di lavoro.

 

In realtà la figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza in questa sentenza è stata vista in pratica nella doppia veste che il legislatore con il citato articolo 50 ha voluto attribuire alla stessa e cioè nella veste di creditore perché deve ricevere le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e alle relative misure di prevenzione adottate (lett. e), consultato in ordine alla valutazione stessa nonché per la designazione degli RSPP e ASPP e  per la organizzazione della formazione (lett. b, c, d), ma anche di parte attiva nella organizzazione della sicurezza sul lavoro avendo l’attribuzione di accedere sui luoghi dove vengono svolte le lavorazioni (lett. a), di promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori (lett. h), di fare proposte in merito all’attività di prevenzione (lett. m) e di avvertire il responsabile dell’azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività lett. n).

 

L'art. 50 del D. Lgs. n. 81 del 2008 quindi, ha sostenuto la suprema Corte, ha attribuito al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Nel caso in esame l'imputato rappresentante dei lavoratori per la sicurezza era stato condannato, ha messo in evidenza la suprema Corte, non perché ricoprisse una posizione di garanzia, ma per non avere in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per leggeconsentendo che il lavoratore infortunato fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattualisenza aver ricevuto alcuna adeguata formazione, e non sollecitando in alcun modo l'adozione da parte del responsabile dell'azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori.

 

Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza pronunciata dal Tribunale nei confronti del datore di lavoro e del rappresentante dei lavoratori di una azienda, ritenuti colpevoli del reato di omicidio colposo, conseguente alla violazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. In particolare al datore di lavoro erano state rimproverate la colpa generica e la colpa specifica di avere omesso di effettuare la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei dipendenti, di valutare il reale rischio di caduta dall'alto delle merci stoccate sugli scaffali e di elaborare le procedure aziendali in merito alle operazioni di stoccaggio dei pacchi di tubolari sullo scaffale sul quale si era verificato il sinistro, consentendo quindi che lo stesso, assunto con mansioni e qualifica di impiegato tecnico, svolgesse di fatto anche le funzioni di magazziniere, senza averne ricevuto la corrispondente formazione (comprensiva dell'addestramento all'utilizzo del carrello elevatore). Accadeva così che, durante le operazioni di stoccaggio, il lavoratore, dopo avere trasportato, a mezzo di un carrello elevatore, un carico di tubolari di acciaio, sceso dal carrello elevatore ed arrampicatosi sullo scaffale per meglio posizionare il carico, venisse schiacciato sotto il peso dei tubolari che gli rovinavano addosso.

 

Al rappresentante dei lavoratori invece per la sicurezza era stata ascritta la colpa specifica correlata a violazioni di norme in materia di sicurezza sul lavoro, per aver concorso a cagionare l'infortunio mortale di cui sopra, attraverso una serie di contegni omissivi, consistiti nell'aver omesso di promuovere l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori, di sollecitare il datore di lavoro ad effettuare la formazione dei dipendenti (tra cui il lavoratore infortunato) per l'uso dei mezzi di sollevamento e di informare i responsabili dell'azienda dei rischi connessi all'utilizzo, da parte dello stesso del carrello elevatore.

 

Avverso la sentenza di appello hanno ricorso gli imputati e mezzo dei rispettivi difensori. Il datore di lavoro nel suo ricorso, con riferimento alla formazione e all’addestramento del lavoratore infortunato, ha fatto presente che, diversamente da quanto sostenuto dai Giudici di merito, lo stesso, pur risultando assunto quale impiegato tecnico, era stato formato e addestrato a svolgere le mansioni di operaio e magazziniere, così come dimostrato dalla documentazione allegata alla relazione di consulenza tecnica di parte e ha evidenziato altresì che dalla legge non era prevista alcuna abilitazione per l'uso di carrelli elevatori così come non vi era alcuna norma che impedisse a un lavoratore retribuito come impiegato di svolgere l'attività di operaio, sussistendo in tal caso l'obbligo di formazione quale operaio, così come è avvenuto, nel caso in esame, per la vittima. Dalle dichiarazione dei testi ascoltati del resto era emerso che il lavoratore infortunato aveva partecipato a ben tre corsi di formazione specifici. Ha lamentato ancora il ricorrente una violazione degli artt. 589, 40 e 41 c.p., in relazione alla condotta anomala ed imprevedibile del lavoratore, tale da escludere il nesso di causalità. L'evento mortale si era verificato infatti a seguito di un comportamento abnorme del lavoratore che, in violazione di ogni regola aziendale di prudenza, si era arrampicato sullo scaffale rimanendo schiacciato dai tubolari.

 

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, da parte sua, ha evidenziato una violazione di legge in relazione alle sue funzioni che dovevano ritenersi di mera collaborazione senza ricoprire una posizione di garanzia. Al rappresentante dei lavoratori, ha sostenuto lo stesso, non spettano funzioni di valutazione dei rischi, di adozione di opportune misure per prevenirli e nemmeno quella di formazione dei lavoratori, funzioni di mero appannaggio del datore di lavoro né spetta una attività di controllo e di sorveglianza. Lo stesso occupa un ruolo di mera "consultazione", che si traduce essenzialmente nella possibilità di esprimere un parere preventivo di cui il datore di lavoro può anche non tenere conto. Il rappresentante della sicurezza dei lavoratori inoltre non ha poteri decisionali e, di conseguenza, non sono previste, a suo carico, sanzioni amministrative e/o penali, né può dirsi investito dell'obbligo giuridico di impedire un evento.

 

Secondo il ricorrente, infine la Corte di Appello non aveva tenuto in considerazione i principi giurisprudenziali in tema di reato omissivo o commissivo mediante omissioni; se anche infatti avesse comunicato al datore di lavoro quanto si assume fosse stato a sua conoscenza, ossia le modalità di prestazione dell'attività lavorativa del lavoratore infortunato, era altamente probabile che detta comunicazione non avrebbe avuto alcun riverbero sulle decisioni aziendali, stanti la sua mancanza di potere e la piena conoscenza da parte del datore di lavoro stesso dell'attività posta in essere dall'infortunato.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha ritenuti infondati i ricorsi e li ha pertanto rigettati. Quanto al ricorso del datore di lavoro la suprema Corte ha posto in evidenza che i giudici di merito avevano riscontrato profili di colpa specifica, espressamente contestati nel capo di imputazione, e precisamente di avere adibito il lavoratore infortunato, assunto con mansioni di impiegato tecnico alle funzioni di magazziniere, senza aver ricevuto la corrispondente formazione, comprensiva dell'addestramento all'utilizzo del carrello elevatore, come espressamente prescritto dall'art. 71, comma 7, lett. a), del D. Lgs. n. 81 del 2008, atteso che l'istruttoria espletata dinanzi al Tribunale aveva comprovato che solo dopo l'incidente mortale i lavoratori avevano seguito i corsi di formazione anche relativi all'utilizzo del carrello elevatore, così come riferito da diversi testi, lavoratori tutti della medesima azienda.

 

Era, pertanto, risultato dimostrato che l’infortunato svolgesse regolarmente le funzioni di magazziniere e che l'utilizzo del muletto da parte dello stesso fosse avvenuto anche in presenza degli imputati, pur essendo egli stato assunto con mansioni di impiegato tecnico. La sentenza impugnata aveva ricordato altresì che una teste, impiegata nella gestione amministrativa dell'azienda, aveva evidenziato come il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, assolto in primo grado, avesse espressamente informato il datore di lavoro della necessità di formare i lavoratori con particolare riguardo proprio all'utilizzo del muletto.

 

La condotta omissiva del datore di lavoro si era inoltre appalesata tanto più grave in considerazione del fatto che nel Documento di Valutazione dei Rischi, in uso all'azienda, era stato espressamente previsto il pericolo di caduta delle merci stoccate, nonché la necessità che il carrello elevatore fosse utilizzato esclusivamente da personale esperto, preparato attraverso uno specifico corso di formazione. Parimenti, sotto il profilo della colpa generica, i Giudici di merito avevano ritenuto la responsabilità del titolare dell'azienda per aver consentito l'utilizzo di scaffalatura palesemente inadeguata, come rilevato in un verbale nel quale era stato evidenziato che le barre degli scaffali erano state posizionate in maniera da non impedire il rotolamento dei tubolari stoccati sullo scaffale stesso e per la mancata indicazione sulla scaffalatura in ordine al peso che la stessa avrebbe potuto sopportare, risultato ampiamente superato dai fasci di tubolari ivi posizionati. I giudici di merito avevano infine rilevata l’inadeguatezza delle alette volte al contenimento dei tubolari stoccati, essendosi le stesse piegate proprio a causa del peso dei tubolari nella fase dello scivolamento.

 

Infondato, altresì, è stato ritenuto dalla Corte suprema la motivazione con la quale era stato ritenuto che la condotta del lavoratore deceduto fosse stata anomala ed imprevedibile, tale da escludere il nesso di causalità. La stessa ha ricordato che costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per il quale le "norme antinfortunistiche sono dirette a prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore"; perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, infatti, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale: principio, questo, che va concretamente declinato nel senso che “perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia", e "perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un ‘rischio eccentrico’, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questo abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante".

 

Di tali coordinate ermeneutiche la Corte territoriale, secondo la Sezione IV, ha fatto buon governo laddove ha affermato che il comportamento "sicuramente imprudente" della vittima non fosse valso ad elidere il nesso di causalità tra la condotta omissiva posta in essere dagli imputati e il sinistro mortale, atteso, in particolare, che il lavoratore infortunato svolgeva attività diverse da quelle per le quali era stato assunto, proprio sotto la direttiva del responsabile dell'azienda, pur non avendo ricevuto alcuna specifica formazione in merito allo stoccaggio delle merci anche con l'utilizzo del carrello elevatore, e che proprio "in ragione dell'omessa formazione del lavoratore lo stesso poneva in essere la scelta improvvida di tentare di sistemare a mano i pesanti tubolari che non era riuscito a collocare adeguatamente sullo scaffale con l'utilizzo del muletto", dovendosi altresì considerare sicura concausa dell'evento mortale l'inadeguatezza della scaffalatura, inidonea ad evitare lo scivolamento dei tubolari.

 

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati anche i motivi contenuti nel ricorso presentato dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Come è noto, ha sostenuto la stessa, l'art. 50 D. Lgs. n. 81 del 2008, che ne disciplina le funzioni e i compiti, attribuisce al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ciò detto, ha così proseguito la suprema Corte, è bene precisare che, nel caso in esame, viene in rilievo non se l'imputato, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire (art. 40 cpv. c.p.) ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell'evento ai sensi dell'art. 113 c.p. E, sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha illustrato adeguatamente i termini in cui si è realizzata la cooperazione colposa del rappresentante dei lavoratori nel delitto di cui trattasi. Richiamati i compiti che l’art. 50 ha attribuiti al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, la Corte territoriale ha osservato come l'imputato non avesse in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che l’infortunato fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l'adozione da parte del responsabile dell'azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, nonostante le sollecitazioni in tal senso formulate dal responsabile del servizio di  prevenzione e protezione.

 

Al rigetto dei ricorsi è seguita la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione I - Sentenza n. 38914 del 25 settembre 2023 (u.p. 27 aprile 2023) - Pres. Di Salvo – Est. Dawan – PM Ceroni - Ric. (omissis). - Risponde il RLS, in concorso con il datore di lavoro, dell’infortunio di un lavoratore se ha omesso di promuovere l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori.


 



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